Varici degli arti inferiori

Descrizione

Le vene varicose (o varici) sono definite come vasi sanguigni caratterizzati da una permanente ed abnorme dilatazione, legata ad una alterazione della parete. Le vene più frequentemente interessate sono quelle superficiali degli arti inferiori, che obiettivamente risultano più evidenti, tortuose, talvolta con aspetto di gavoccioli bluastri. Rappresentano l’espressione clinica della insufficienza venosa cronica, la cui sintomatologia comprende senso di peso alle gambe, prurito, gonfiore, parestesie, crampi (soprattutto notturni).

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    All’inizio della malattia si possono osservare piccole dilatazioni di vasi comunemente denominati “capillari” (telagectasie), pigmentazioni cutanee, discromie color ruggine, ipodermiti, eczemi, microvaricosità a distribuzione concentrica intorno al malleolo (corona flebectasica). Le varici non rappresentano un problema solo estetico ma anche funzionale: le valvole all’interno del vaso dilatato non assicurano una completa chiusura e quindi il sangue venoso tende a tornare indietro verso la periferia (in questo caso verso i piedi). L’inversione del fisiologico flusso centripeto comporta un ristagno di sangue all’interno del vaso e conseguente aumento della pressione all’interno di esso, condizione alla base delle possibili complicanze della patologia, come la formazione edema, fibrosi, ulcerazioni e talvolta trombosi. La diagnosi della malattia varicosa, oltre che della clinica, si avvale della diagnostica strumentale rappresentata principalmente dall’ecocolorDoppler, esame non invasivo, ripetibile, relativamente poco costoso ed estremamente accurato se eseguito da operatori esperti. L’esame, oltre a fornire informazioni sullo stato della parete venosa e delle valvole (e la loro integrità), su eventuali anomalie di decorso e varianti anatomiche, indica anche la presenza e la direzione del flusso sanguigno, elementi essenziali per un corretto approccio terapeutico.
    Le varici degli arti inferiori hanno una prevalenza del 35% circa nella popolazione adulta di sesso femminile e del 25% in quella maschile, con le donne più colpite in età giovanile. In oltre l’80% dei casi esiste una predisposizione familiare. Altri fattori coinvolti nella genesi della malattia varicosa sono l’ortostatismo prolungato, il sovrappeso, la gravidanza, la prolungata stazione seduta legata all’attività lavorativa, l’esposizione a fonti di calore, l’alterato appoggio plantare, la stipsi cronica, le malformazioni vascolari e precedenti trombosi venose. Anche l’età aumenta il rischio di sviluppare questa patologia poiché l’invecchiamento determina l’usura delle valvole venose e dunque la loro incontinenza, associata alla ridotta mobilizzazione. Una seria complicanza delle vene varicose, legata al ristagno di sangue all’interno del vaso malato, è la tromboflebite (o varicoflebite), infiammazione della parete venosa con associata formazione di un coagulo di sangue all’interno del lume della vena. La tromboflebite si presenta clinicamente come un cordone dolente sovrastato da cute arrossata, calda, spesso edematosa. Rappresenta una urgenza medica che va prontamente trattata dallo specialista.

Trattamenti

La correzione dello stile di vita e dei fattori di rischio sono alla base del trattamento di fondo della patologia, così come l’utilizzo della contenzione elastica, l’utilizzo di integratori flebotonici e la predisposizione di plantari su misura da inserire nelle calzature. Quando la malattia raggiunge uno stadio avanzato e si manifestano i sintomi classici rappresentati dal senso di pesantezza, prurito o gonfiore delle gambe oppure compaiono addirittura complicanze quali ulcere e flebiti, è necessario intervenire rimuovendo o “neutralizzando” il vaso malato.

La più straordinaria evoluzione tecnica permette oggi il trattamento delle varici degli arti inferiori mediante ABLAZIONE CHIMICA delle vene ammalate, ovvero la somministrazione di colle di Cianoacrilato associata eventualmente alla Scleromousse. Prevede l’iniezione sotto guida ecografica di un agente sclerosante (liquido o sotto forma di schiuma) che determina la chiusura del vaso attraverso un processo infiammatorio. Rappresenta questo un intervento innovativo e minivasivo, che NON NECESSITA NEMMENO DI ANESTESIA LOCALE, ma si pratica per semplice puntura venosa con un butterfly azzurro, un piccolo ago usato generalmente per fare il prelievo di sangue ai bambini. E’ un trattamento che si esegue in ambulatorio e non necessita di convalescenza nè di alcuna preparazione. In particolare, non è necessario sospendere o modificare la terapia medica abituale, non prevede il digiuno per l’intervento e nemmeno la tricotomia. Al termine della procedura, infatti, il Paziente indossa una calza elastica e torna immediatamente a svolgere le sue normali attività, senza perdere una goccia di sangue e nemmeno applicare un cerotto. Generalmente sono sufficienti pochi minuti e 3 o 4 punture per “neutralizzare”, appunto, le vene varicose. Si può praticare in qualsiasi periodo dell’anno.

Nei paesi anglofoni, proprio per le caratteristiche di mininvasività descritte, viene definito come l’intervento del “coffee break”! La particolarità di questo trattamento rivoluzionario è quella di poter “operare” selettivamente solo le vene effettivamente ammalate, preservando tutto il patrimonio venoso, allo stato ancora funzionante. Con le tecniche tradizionali, invece, nello stesso atto chirurgico vengono asportate o legate tutte le vene che alimentano i gavoccioli varicosi. Si intuisce facilmente che il tasso di complicanze per una tecnica così poco invasiva, risulta estremamente inferiore a qualsiasi altra tecnica chirurgica esistente per la cura delle varici degli arti inferiori.

Un’altra tecnica relativamente recente per la cura delle varici è l’ablazione termica: attraverso l’utilizzo di cateteri a radiofrequenza o laser che vengono inseriti all’interno dell’asse venoso, si sviluppa calore intenso e localizzato che disattiva (bruciando) la vena in questione. Questa procedura viene eseguita come un vero e proprio intervento in sala operatoria, utilizzando accessi minivasivi e anestesia locale oltrechè per tumescenza.

L’intervento chirurgico tradizionale è lo “stripping” della safena. Descritto già nel 1907 da Babcock, viene utilizzato ancora oggi in diversi centri di Chirurgia Vascolare: prevede l’asportazione chirurgica della vena malata (grande o piccola safena) ed è spesso associato alle “flebectomie multiple”, procedura descritta da Muller nel 1966. Necessita di anestesia generale o spinale ed è per lo più eseguito in regime di Day Hospital, con una convalescenza media di un paio di settimane.